L’eredità di Rabin
30 anni da quegli spari in una serata maledetta. Tre decenni dall’episodio che ha cambiato la storia del Medio Oriente. Lo “sliding doors” che ha modificato il corso del conflitto arabo-israeliano. Era una serata di sogni e di speranze quella del 4 novembre 1995. Kikkar a Melachim, la Piazza dei Re di Tel Aviv era gremita da centinaia di migliaia di persone e il primo ministro di Israele, Itzkaq Rabin, cantava “Shir la Shalom”, la canzone della pace.
Era un sabato sera e il premier aveva passato lo Shabbat in famiglia, con i figli ad Herzlia Pituach, quartiere elegante della cittadina che porta il nome del padre del Sionismo, Thedor Herzl. Erano tanti i dubbi e timori che attanagliavano Rabin, soprattutto dopo la campagna di odio che i suoi avversari politici gli avevano riversato contro nelle settimane e nei mesi precedenti per gli accordi che da Camp David in poi stavano cercando di ridisegnare la mappa dei rapporti e della guerra infinita con i palestinesi. Addirittura si era arrivati a vedere dei cartelli con l’immagine del primo ministro in divisa nazista e con i baffi di foggia hitleriana. Tra i più attivi contestatari proprio l’attuale ministro degli Interni israeliano, Ben Gvir, che si faceva già notare per le sue intemperanze verso uno dei padri fondatori dello Stato di Israele.
Rabin,il giovane soldato del Palmach che aveva contribuito a rompere l’assedio di Gerusalemme nella prima guerra di Indipendenza. Il sabra, nato in Israele da padre russo e mamma bielorussa scampati ai pogrom cosacchi e approdati nella terra del latte e del miele, divenuto Capo di Stato Maggiore di Tsahal. L’uomo che entrò per primo nella Gerusalemme liberata e riunificata del 1967 e che per primo toccò le pietre del Kotel, il Muro Occidentale del sacro Santuario, il luogo più mistico che finalmente dopo secoli veniva restituito al popolo ebraico. Lo stesso Rabin, che da ministro della Difesa aveva chiesto al suo esercito di reprimere con tutta la forza necessaria l’Intifada palestinese, mentre gli attentati imperversavano in Israele e sangue innocente ebraico veniva versato nelle strade del paese a causa dell’odio arabo.
Quel Rabin che commosse un intero popolo quando, sul prato della Casa Bianca, da Primo Ministro fu costretto a stringere la mano al terrorista Yasser Arafat davanti agli sguardi compiaciuti di Shimon Peres e Bill Clinton. Lui, Rabin, le mani insanguinate del capo terrorista falso, mistificatore e abietto, non avrebbe voluto stringerle e il suo disagio così visibile e schietto era quello dell’intera nazione ebraica. Ma il Generale, l’eroe che tanto si era distinto e speso per il suo paese, aveva capito che era tempo di deporre le armi. C’è un tempo per la guerra e un tempo per la pace, amava dire, e la pace si fa con i nemici e non con gli amici.
Quel sogno si infranse alla fine di una manifestazione oceanica che aveva fugato i dubbi su come la maggioranza del paese la pensasse riguardo “road map” per la pace. Israele la pace la voleva, nella grande maggioranza della popolazione che aveva capito. Il tempo era maturo ma non per tutti, non per Ygal Amir, giovane fanatico di famiglia yemenita, convinto di essere inviato in “missione divina” che, con gli occhi spiritati dell’esaltazione, esplose tre colpi di pistola alla schiena di Itzkaq Rabin.
Il Primo Ministro lasciò questa terra pochi minuti dopo in ospedale. Grande lo smarrimento nel mondo e in Israele. Enorme il dolore al pensiero che un ebreo fosse arrivato a uccidere un altro ebreo in nome di un “progetto divino”.
Per una intera generazione l’omicidio di Rabin ha significato la perdita dell’innocenza e l’infrangersi di sogni e speranze. La consapevolezza che la Storia, se Rabin avesse potuto completare il suo lavoro dedicato a Israele, sarebbe sicuramente stata differente.
Non sappiamo se migliore o peggiore, ma sicuramente il corso degli eventi sarebbe stato diverso e forse il 7 ottobre 2023 sarebbe rimasto un giorno come un altro e di festa nel calendario ebraico, come sarebbe dovuto essere.
Rimane la grande eredità lasciata da Rabin, Gerusalemme capitale unica, indivisibile ed eterna dello Stato di Israele, un paese giovane e moderno con primati mondiali immensi in ogni settore della vita pubblica e l’anelito per la fine delle guerre con i vicini ostili.
La pace si fa con i nemici, non con gli amici.
