Nel cuore di Manchester, in un quartiere che si credeva protetto dal ritmo anonimo delle periferie inglesi, il giorno più sacro del calendario ebraico si è trasformato in un campo di sangue. Un’auto lanciata contro i fedeli, poi un coltello affondato nella carne di chi era venuto solo a pregare. Due morti, tre feriti gravi, un uomo eliminato dalla polizia. Jihad Al-Shami, 35 anni, siriano con passaporto britannico, è il volto di un odio che non conosce tregua. Non un’esplosione improvvisa, non un raptus solitario: ma il prodotto di un veleno che scorre da tempo, che trova alimento nelle piazze, nei social, nelle parole lasciate libere di circolare come lame invisibili.
Le immagini di Crumpsall non sono solo cronaca. Sono una ferita che si apre nel cuore dell’Europa. C’è un filo rosso che lega i corpi riversi sul selciato di Middleton Road al boato del 7 ottobre 2023, quando Hamas trasformò il confine di Israele in un mattatoio. Quel giorno, mille e più vite furono spezzate con la stessa brutalità che oggi torna a bussare alle porte d’Europa. Eppure, quel giorno sembra già cancellato. La propaganda ha vinto. Hamas ha piegato il racconto, ha spostato l’attenzione, ha costretto l’Occidente a dimenticare. Le piazze si sono riempite di bandiere palestinesi, le università di slogan furiosi, le opinioni pubbliche di una retorica che non lascia spazio al ricordo delle vittime israeliane. E intanto, l’antisemitismo rialza la testa e trova giustificazione, copertura, persino dignità nelle parole di chi si crede impegnato per la “giustizia”.
Manchester non è un caso isolato. È il simbolo di un’Europa che tollera il ritorno di vecchi fantasmi. Sinagoghe sorvegliate, bambini che vanno a scuola scortati dalla polizia, comunità che vivono nel timore quotidiano di essere bersaglio. Si dice sempre che la storia insegna. Ma la storia, in realtà, ci guarda e ci giudica. E vede un Continente che non ha imparato nulla. Ogni volta che si cede all’idea che il 7 ottobre sia stato “una reazione”, ogni volta che si normalizza il linguaggio della violenza, si semina il terreno per il prossimo Crumpsall.
Jihad Al-Shami ha colpito nel giorno di Yom Kippur, il giorno dell’espiazione, il giorno in cui gli ebrei si guardano dentro per chiedere perdono. È una beffa crudele. Mentre la comunità si raccoglieva in preghiera, l’odio si è presentato alla porta con il volto di un vicino di casa, con il passaporto britannico in tasca. Non serve buonismo per comprendere la portata di questo atto. Serve indignazione. Serve dire a voce alta che questo è terrorismo antisemita, che questo è il frutto di una propaganda che da Gaza si è riversata nei nostri quartieri, nei nostri talk show, persino nelle aule parlamentari.
L’Occidente ha dimenticato troppo in fretta. Si è lasciato trascinare in un coro monocorde in cui la parola “Palestina” diventa un alibi per ogni eccesso, per ogni silenzio colpevole, per ogni rimozione. Non c’è più spazio per ricordare i bambini bruciati nelle case del kibbutz, per le famiglie massacrate nei rifugi, per le donne trascinate via. Hamas sapeva che non poteva vincere militarmente contro Israele, ma poteva vincere sul terreno della percezione. E oggi, nel silenzio che circonda Crumpsall, quella vittoria è sotto gli occhi di tutti. L’Occidente piange lacrime selettive, si mobilita a corrente alternata, misura il dolore con il bilancino dell’opportunità politica.
Ma l’antisemitismo non si misura: esplode, dilaga, ritorna. E quando ritorna non bussa mai piano. A Manchester è entrato con il rumore di un motore e il luccichio di una lama. Ha tolto la vita a due uomini che volevano solo pregare. E ci ha ricordato che l’odio non si estingue con i comunicati di condanna, né con le marce rituali della memoria. L’odio si combatte riconoscendolo, chiamandolo per nome, denunciandone la radice. Anche quando è scomodo, anche quando rischia di spezzare la narrazione dominante.
Il sangue versato a Crumpsall non è un incidente. È un monito. Se continueremo a dimenticare il 7 ottobre, se continueremo a lasciare che la propaganda detti l’agenda, allora ci saranno altre ricorrenze come il Yom Kippur trasformati in lutto, altre famiglie spezzate, altre comunità condannate alla paura. E allora l’Europa non potrà più dire “non sapevamo” ma “siamo complici consapevoli”.
