Medio Oriente: la pace a portata di mano.
Da ieri sera, per usare un gergo calcistico, la palla è nel campo dei paesi arabi e non, quella lista di nazioni che va dal Qatar alla Turchia, dall’Indonesia al Pakistan che si fanno garanti della proposta di Donald Trump articolata in 21 punti per far cessare la guerra in Medio Oriente e liberare Gaza dal giogo dei terroristi di Hamas. Si tratta così dell’ennesima occasione storica che viene offerta ai palestinesi per intraprendere la strada per la creazione di un loro Stato.
Ovviamente il passaggio necessario è la resa totale di Hamas e la liberazione degli ostaggi rapiti esattamente due anni fa, infimo corollario delle stragi del 7 ottobre.
Accetteranno i terroristi il salvacondotto che viene concesso loro così generosamente dall’amministrazione americana, così come l’intera proposta di accordo e come fatto da Bibi Netanyahu? Lo capiranno che per loro è finita e che con loro azioni criminali hanno portato solamente lutto e devastazione a Gaza, come era immaginabile che accadesse, dopo il giorno della mattanza di 1200 israeliani, gli stupri, le decapitazioni, i corpi di famiglie, di bambini ebrei bruciati assieme alle case nei kibbutzim israeliani?
Riecheggia in queste ore la famosa citazione di uno dei padri fondatori dello Stato di Israele, Abba Eban che al termine dell’ennesimo rifiuto palestinese di accordarsi per la pace con il suo paese dichiarò che “gli arabi non hanno mai perso l’occasione di perdere un’occasione”.
Una verità storica incontrovertibile nemmeno dal ProPal più ostinato e duro di comprensione, come lo sono in molti in quel campo, troppi. Più volte nei decenni i palestinesi, davanti alle opportunità storiche di chiudere accordi con Israele, hanno rifiutato.
Su tutte la proposta del premier Ehud Barak che restituiva loro il 98% di territori contesi in cambio di pace e che Arafat respinse in nome di una guerra perenne allo Stato Ebraico fondamentalmente da cancellare.
La verità è che Hamas é la brigata della morte, ad essa aspira anche per il suo popolo, in nome della jihad e del martirio islamista, non prima di aver trascinato nell’abisso con sé il nemico dichiarato, il popolo ebraico.
60 ore ci separano da quello che potrebbe essere l’epilogo di una delle vicende più tragiche di questo scorcio di secolo.
L’occasione è davvero propizia e il mondo è col fiato sospeso in attesa della risposta dei criminali tagliagole e di quale sarà la capacità di persuasione degli amici dei terroristi.
Vedremo e capiremo se la fratellanza musulmana e’capace di stabilire un patto che potrebbe cambiare la storia dell’intera regione.
Il piano è ambizioso e sicuramente nei punti molte cose saranno da verificare e chiarire ma è una proposta che sarebbe delittuoso non considerare e fare propria.
I precedenti non giocano a favore e va ricordato che siamo di fronte a un manipolo di belve senza scrupoli che hanno compiuto crimini paragonabili solamente a quelli dei nazisti durante la Shoah, ma dobbiamo coltivare la speranza.
Donald Trump è stato chiarissimo e ora la responsabilità di fallimento o di successo del piano è tutta condivisa tra Gaza e Doha, il luogo dove risiedono nei comfort assoluti molti dei capi del gruppo terrorista palestinese. Nelle loro mani, ancora una volta, le sorti del loro popolo, oltre che quelle dei poveri 48 ostaggi, vivi o esanimi.
Le loro famiglie e tutte le persone che hanno un cuore attendono da due anni che possano finalmente tornare a casa.
